Elfriede

Una mano invisibile

Il 21 gennaio 1981 era destinato a diventare uno dei giorni più memorabili della mia vita.

La storia che sto per raccontare è accaduta in un paese della Calabria, sulla costa Tirrenica, paese tranquillo e ideale per crescere sani e spensierati i miei bambini, un maschio e una femmina.

Il paese, situato alla sommità di una roccia a picco sul mare e nello stesso tempo ai piedi dell’imponente Tylesium (oggi Monte Cocuzzo) offre un panorama mozzafiato, in quanto domina, da un’altezza di 220 metri, un bellissimo tratto della costiera tirrenica.

il paese

Tutti gli anni, io e la mia famiglia, trascorrevamo i mesi estivi nella nostra casa al mare, mentre durante i mesi invernali si abitava su in paese, in un grande palazzo seicentesco, da sempre sede della famiglia di mio marito.
Quell’anno decidemmo di trascorrere tutto l’anno al mare, nella speranza che l’aria di mare potesse giovare alle tonsille di mio figlio.

Arrivò la sera del 20 gennaio 1981 ed iniziò a piovere.
Il pomeriggio aveva partorito la mia cagnetta Spizzi, una volpina dal pelo bianco.
Scesi giù il giardino, dove lei aveva la sua cuccia, per portarle il latte e per vedere se era sistemata bene, al riparo dalla pioggia, che nel frattempo era diventata più intensa.

La cagnetta, ormai non più giovane, mi accolse scodinzolando e leccandosi i baffi, segno che gradiva il latte.
Quando mi chinai per versarglielo nella sua ciotola, alzò la zampetta per farmi vedere i suoi cuccioli. Erano tre batuffoli bianchi, stavano lì al caldo sotto la pancia rosea della loro mamma e con i loro musetti piccoli cercavano già di succhiare il suo latte.
La cagnetta mi guardò negli occhi per cogliere un mio segno di approvazione. Io l’accarezzai e le dissi: ”Sei stata brava Spizzi, sono bellissimi i tuoi cuccioli. Domani li guardiamo meglio, adesso coprili e stai al riparo dalla pioggia”.
Volevo molto bene a questo cane.

Spizzi

Tranquillizzata, salii in casa, dove mi aspettavano i miei figli. Volevano sapere come erano i cuccioli di Spizzi. Io li descrissi e promisi loro che l’indomani saremmo andati a vederli.

Guardando fuori dal balcone e dalle finestre mi accorsi che sul mare il cielo era tutto nero. Anche le montagne erano avvolte dalle nuvole cariche di pioggia, e in lontananza ogni tanto scendeva già un fulmine, che, prima di tuffarsi nel mare, illuminava tutto intorno.

Foto di Thomas Bush 1

Cominciai a stare un po’ in ansia, perché mio marito non era ancora tornato a casa e la cena era pronta già da un pezzo. Finalmente udii la macchina e la mia tensione svanì.
Mio marito, di corsa salì le scale, e aprendo la porta di casa esclamò: ”Che tempaccio. Prepariamoci ad una nottata!”

Ci salutammo e ci sedemmo tutti a tavola per la cena. I bambini raccontarono subito al padre l’evento della nascita dei cuccioli di Spizzi, ma lui commentò soltanto: ”Oh, che bella notizia!”.
A quei tempi lui non era un grande amante degli animali, ma alla Spizzi voleva bene.

Per un attimo i miei ricordi mi portarono indietro di otto anni, quando questa cagnetta, ancora randagia, con un grande atto di coraggio si era “meritata il posto” per poter rimanere con noi, salvando i bambini che giocavano sulla strada da un motorino in corsa sfrenata, bloccando lo stesso.

Poi l’allegro vociare dei bambini intorno a me, mi riportò al presente. Loro stavano già cercando di trovare i nomi ai cuccioli, litigando tra loro, senza sapere se erano maschi o femmine.

Nel frattempo avevamo finito di cenare e fuori si stavano letteralmente scatenando i quattro elementi: oltre alla pioggia diluviante, ai fulmini, seguiti da rimbombanti tuoni (quelli che fanno tremare i vetri e che qui chiamiamo “tuoni di neve”), si stava mettendo in movimento il mare e si faceva notare uno strano fischio del vento.
Non mi piaceva. Non era il solito temporale che veniva dal mare, o quello che scendeva dal nord.

Rabbrividii, perché avvertivo che nell’atmosfera c’era qualcosa di minaccioso. Mi tornò l’ansia. Preparai le candele per la notte, sicura che la luce da lì a poco sarebbe mancata.
A questo punto si aggiungeva il piagnucolare dei bambini. Volevano dormire con noi perché avevano paura: ”dài, solo stanotte” pregarono. Naturalmente cedemmo alla loro richiesta, vedendo che non era un capriccio.
Li sistemai con noi nel letto grande, mettendo qualche coperta in più.

tenerezza

Cercai di chiudere meglio le finestre, il vento creava spifferi antipatici.

Mentre io riordinavo in fretta la cucina, mio marito controllò che fossero chiuse bene tutte le finestre e le persiane.
E, come previsto, la luce se ne andò.

Ora, con il televisore spento, si sentiva il rumore del mare e guardando dalla finestra, si intravedeva quella massa scura in movimento che, prepotentemente, si avvicinava buttando le sue onde mastodontiche sulla spiaggia con tale forza, da provocare vibrazioni tali da toccare l’anima.

"E chi dorme stanotte” pensai, “non chiuderò occhio!”. Non sopportavo già il vento normale, ma questo era veramente una “brutta bestia”, una furia. Mandava le sue raffiche da tutti i lati, ed accompagnato da un fischio assordante e penetrante, provava a farsi aprire porte e finestre scuotendole accanitamente. Avrei voluto tanto che la notte fosse già finita, ma ancora era davanti a noi!

Mio marito tornò dal suo giro d’ispezione a finestre, porte e balconi, dicendo che era tutto a posto. Si rese conto della mia tensione e cercò di tranquillizzarmi mettendomi un braccio intorno alle spalle: ”Andiamo a dormire” mi disse, “stai calma, andrà tutto bene, vedrai, domani risplenderà di nuovo il sole”. Ma, dentro di me, sapevo che neanche lui era tranquillo.

Andammo a dormire, consapevoli che fuori, intorno a noi, la natura aveva dichiarato guerra. Gli elementi della natura, stavano combattendo una battaglia spietata tra di loro.

Tutti i grandi condottieri con i loro eserciti sembravano essere presenti. Finanche il nordico grande Wotan era sceso a sud, seguito dal suo copioso esercito con cavalli alati. E i loro elmi luccicanti accecavano la vista a chiunque volgesse loro lo sguardo.
Il fischio del vento si univa al nitrire dei cavalli, ed il tintinnio dei vetri delle finestre si confondeva col suono vibrante delle spade dei guerrieri di Ares in battaglia, mentre l’ira di Poseidone faceva alzare e crescere sempre di più le acque, fin a che i fiumi fossero straripati e le onde del mare fossero traboccate irrefrenabilmente.

Ed io mi trovai in mezzo a questo campo di battaglia inverosimile e nello stesso tempo fantastico. Trattenni il respiro quando il carro di Wotan, accompagnato da un grande frastuono, volava verso di me... per poi sparire sopra la mia testa, nel nulla!

guerriero

Mi svegliai stordita e vidi al mio fianco i miei figli e mio marito che dormivano.
Lui stava aprendo gli occhi e mi resi conto che, in seguito al tormento della sera precedente, i miei sogni mi avevano trasferita in una scena mitologica.

Ma qui ci ritrovammo in una scena non meno furiosa. Diluviava ininterrottamente. I venti soffiavano ed il mare era talmente alto ed il cielo talmente basso da non poter distinguere più dove fosse l’orizzonte.

Nessuna tregua era prevedibile. Stavo preparando il caffè, quando giunse una telefonata dal paese. Un amico di mio marito ci avvertiva che si era aperto un balcone della casa in paese.
Strano, pensai, soltanto qualche giorno prima ci eravamo assicurati che i balconi fossero ben fissati con le sbarre di legno.

A quel punto decidemmo di salire su in paese per chiudere il balcone di casa prima che le condizioni metereologiche peggiorassero ulteriormente e ci impedissero di poterlo fare.
Attrezzati con martelli, chiodi e quant’altro occorresse per riparare il balcone, salutammo i nostri figli con tante raccomandazioni di stare tranquilli e di non uscire di casa. Poi ci tuffammo coraggiosi nel così detto “gorgo del ciclone”, sapendo che su avremmo sicuramente trovato il vento molto più forte che qui.

Il nostro paese è chiamato il paese del vento... a volte è talmente forte da togliere il respiro e da non riuscire a varcare l’uscio di casa.
Dopo un attimo di indecisione, decidemmo di prendere la macchina più grande e quindi più pesante, lasciando fortunatamente quella più piccola con la quale usualmente si saliva su in paese.

La strada che porta su non è una strada comoda, ma è stretta e piena di curve a gomito fino all’apice della roccia dove è arrocato il paese, che in quel momento stava lottando per tener fronte quella ennesima tempesta.
E di tempeste ne aveva già viste e subite tante in passato. Non solo tempeste di acqua e vento, no, ma anche di altro tipo: guerre, attacchi dal mare, terra e aria. Niente è riuscito a distruggerlo. Ha resistito con fierezza a cannoni, a bombe ed anche a terremoti.
Tutti questi eventi hanno però lasciato un pezzetto di storia dietro di loro rendendolo “interessante” ai nostri tempi.

Guardai preoccupata, lassù, il paese. Mio marito, che stava svoltando alla seconda curva a gomito, disse che pensava che la situazione era peggiore di quanto avesse creduto, ma bisognava prima arrivare alla curva dello “scalone del vento” per valutare meglio.
Mancava poco e, quando imboccammo la terza curva, improvvisamente venimmo letteralmente “presi” e scaraventati quasi a ridosso della roccia che si trovava sul mio fianco destro. Volevo gridare, ma il grido mi morì in gola, quando guardai mio marito: lui, con tanta forza sterzava per non perdere il controllo del veicolo. Riuscì ad evitare un violento urto contro la roccia, ma una volta ripreso il controllo del veicolo, la macchina dava segni di non farcela, di non poter andare avanti.

Mio marito disse: ”Provo a mettere la prima, speriamo che vada!”. Era preoccupatissimo. Difatti, con la prima marcia, la macchina andò avanti di qualche passo e poi si fermò. Vano fu il tentativo di premere sul pedale dell’acceleratore a tutto gas. La macchina non si mosse di un centimetro, restò ferma lì! Che cosa ci stava succedendo? Era incredibile, non reale!!
Provai sensazioni indescrivibili!! Terrorizzati, tutti e due ci guardammo negli occhi, increduli e senza parole, incapaci di reagire o di capire, ma pienamente consapevoli di trovarci in pericolo.

La macchina si era fermata a circa 20 metri dalla roccia chiamata “lo scalone del vento“. Una mano invisibile ci teneva fermi lì!! Ma non era ancora tutto! Un attimo dopo ci sentimmo sollevati in avanti e rimessi giù, rialzati e rimessi giù, ancora e ancora, ed ogni volta sempre più in alto.
Con un filo di voce, perche la gola era serrata dalla paura, domandai a mio marito: “Che cosa dobbiamo fare? Saltiamo fuori dalla macchina?”. Lui, vedendo che avevo messo la mano sulla maniglia dello sportello aperto, gridò con voce stridula: “No, non aprire. E’ troppo pericoloso. Il vento con lo sportello aperto, avrebbe gioco facile per accappottarci! Così invece credo che non ce la potrà fare, la macchina è troppo pesante. Aspettiamo ancora e poi vediamo cosa fare”.

Il vento fischiava così forte, che mio marito, per essere udito doveva gridare. Sembrò che si fossero dati appuntamento, a quest’ora, tutti i venti della terra, allo “scalone del vento”; e noi ci trovammo lì, per assistere a questo unico spettacolo.

Vedemmo i venti infuriarsi, schiantarsi contro quella roccia, per poi allearsi e prendere d’assalto la nostra macchina, sollevandola e mollandola su e giù; e su e giù ancora ed ancora, quasi volessero misurare con quel braccio di ferro le loro forze, contro un nuovo bersaglio che si era permesso di sfidarli.
Ed ogni volta, vedendo venire quella grande spirale a rotazione veloce verso di noi, trattenendo il respiro, rannicchiandomi sempre di più sui sedili della macchina, mi tenevo aggrappata con una mano a mio marito e con l’altra, forte forte, alla maniglia dello sportello, pronta a saltare fuori in qualsiasi momento!

Assalita da una profonda disperazione, invocai quei miei invisibili protettori. Pregai di darci il loro aiuto.

Foto di Hannah Clemens 2

Mi fidavo di loro perché già in passato, in diverse occasioni, mi avevano dato una mano.
Supplicai di farci tornare sani e salvi dai nostri figli, la cosa più importante della nostra vita. Il cuore mi si strinse solo al pensiero che loro adesso si trovavano soli in casa, e a tutte le cose che potevano accadere loro.
Tra singhiozzi e lacrime di disperazione mi resi conto che non mi importava niente più del balcone aperto, volevo tornare dai miei figli.

Passati trenta, quaranta secondi, che a me sembravano un’eternità, ci riprendemmo dallo shock.
Il primo a reagire fu mio marito. Lui cercò di indietreggiare con la macchina di un paio di metri e quindi addossarsi ad un incavo laterale di roccia. Lì trovammo protezione almeno da un lato, anche se si incorreva nel rischio reale che potessero cadere dei massi sulla macchina dall’alto, cioè dal muretto che fiancheggiava la strada.
Ma naturalmente era preferibile rischiare questo pericolo, anziché essere esposti ancora più a lungo al terrore di venire, da un momento all’altro, accappottati dal vento.

Ora, addossati alla roccia, ci sentivamo un po’ più protetti, anche se il vento non dava segni di tregua. Ci attaccava continuamente, accompagnato da frastuoni minacciosi, causati dalla pioggia torrenziale.
Il vento misto all’acqua spingeva con tale violenza contro le lamiere della macchina, da creare un rimbombo metallico ed assordante. Mi sovvenne la battaglia della notte dei sogni!

La radio, intanto, stava trasmettendo la notizia di questo drammatico evento che aveva travolto la Calabria, soprattutto il cosentino.
Parlava di camion accappottati, alberi sradicati, case crollate, terreni inondati e franati. Un uragano stava scuotendo la nostra zona!

Dovemmo aspettare ben tre lunghe ore prima che mio marito potesse girare la macchina, approfittando dei pochi secondi che intercorrevano fra una raffica e l’altra.
Giù al mare tutto era meno violento. Abbracciai i miei bambini, come mai prima, e ringraziai i miei protettori del loro soccorso.

Trascorsero tre giorni prima che potessimo salire in paese. La tempesta aveva esaurito la sua furia!

Il muretto della strada, sotto il quale avevamo trovato un po’ di riparo tre giorni prima, era crollato; salendo ancora più su notammo che era scesa una enorme frana.

All’ingresso del paese trovammo tutti gli alberi, che per secoli avevano fiancheggiato il viale, sradicati e spezzati come fiammiferi. La strada fino al portale d’ingresso del nostro palazzo era cosparsa di tegole volate dai tetti delle case.
Mio marito, facendosi coraggio, aprì il portone. Era tutto tranquillo e a posto. Salimmo la scalinata che portava all’ala del balcone aperto e aprimmo la porta d’ingresso. La casa è uno di quei palazzi antichi dove si entra da una stanza nell’altra, con tante stanze altissime, tutte in fila.

Restammo fermi lì attoniti a guardare. Ai nostri occhi si presentò una scena incredibile; non credevamo a ciò che vedevamo: macerie dappertutto! Non esistevano più infissi, né quelli esterni e né quelli interni. Il pavimento era foderato, da mezzo metro, con le macerie: vetri frantumati, carta da parati e legno degli infissi ridotti a pezzetti.
Nessuna stanza aveva più la tappezzeria ai muri, sembrava che qualcuno si fosse divertito a strapparla via e a gettarla tra quelle macerie che ricoprivano il pavimento! Lascio indovinare quanti quadri, oggetti e mobili antichi si trovarono tra le macerie. Ancora una volta mi venne in mente il campo di battaglia del mio sogno!

Mi misi in cammino, passo per passo, fra le stanze sventrate e devastate. Arrivata alla stanza da letto ebbi un tuffo al cuore! Vidi conficcato, fra la testata ed il materasso del mio letto un pezzo di legno a forma di cuneo.
Provai ad estrarlo, ma non ci riuscii. Sembrava che qualcuno avesse usato un martello per inchiodarlo con violenza. Mi si ghiacciò il sangue nelle vene, non sapevo che pensare. Ebbi soltanto la certezza che, se qualcuno si fosse trovato in quei giorni di furia in quella casa per voler salvare qualcosa, sarebbe rimasto vittima di queste forze scatenate ed incontrollabili.

Oggi, a distanza di oltre 30 anni, sono più che mai convinta che quella mattina del 21 gennaio 1981 la nostra macchina fu fermata da una mano invisibile e protettiva.
E solo grazie ad essa, ci venne concesso di tornare sani e salvi dai nostri figli.

Tutto il resto non conta.

Eccetto dove diversamente indicato, tutti i materiali di questa pagina (testo, foto e pietre) sono ©2012 di Elfriede.
Tutti i diritti sono riservati. Per eventuali richieste di utilizzo di questi materiali scrivere a info@elfriede.it (www.elfriede.it).

note

#1 - La foto del fulmine è di Thomas Bush (www.sxc.hu/photo/1286448).
#2 - La foto della nuvola angelo è di Hannah Clemens (www.sxc.hu/photo/15449).