Delia
"Tanto meglio così"

Ho avuto un'infanzia triste e solitaria: sono stata concepita poco tempo dopo il ritorno di mio papà dal campo di concentramento, in Polonia, dove era stato internato per più di 2 anni, dopo essere stato catturato, nel '43, dopo l'armistizio, al confine della Jugoslavia, dove prestava servizio come ufficiale medico.
Era tornato a Torino, nella nostra casa dei nonni, distrutto più nello spirito che nel corpo; mi ricordo che quando ero piccola a tavola raccontava episodi del periodo della "prigionia", e regolarmente commentava: "homo homini lupus" (cosa alla quale io sotto sotto mi ribellavo, e mi dicevo "non è vero!"); era tornato senza soldi, ma, essendo medico, con una professione certa: andava in giro tutto il giorno (così mi raccontavano poi) nella sua "Topolino", con mia mamma che lo seguiva (poverina, dopo quello che aveva passato nei due anni precedenti, quasi una "vedova bianca"!), aspettandolo in macchina, imbacuccata d'inverno per il freddo, con un libro o una rivista, mentre lui andava a visitare gli ammalati nelle soffitte della città vecchia.
E io in casa, da sola, sotto la sorveglianza della "donna di servizio" di turno (allora le cameriere costavano pochissimo, quasi tutti se le potevano permettere), la quale ovviamente non si occupava di me, ma faceva i suoi "mestieri"; passavo le mie giornate nella mia stanzetta con i giocattoli, e in seguito, quando ho imparato a leggere (molto presto!), con i libri per bambini di cui la mia piccola libreria era colma.

Uno di questi libri in particolare ha "segnato" la mia infanzia, ed è stato per me quasi come una "bibbia". Il titolo che aveva allora era "Tanto meglio così", conosciuto in seguito, anche ai giorni nostri, soprattutto per il film e i cartoni animati, come "Pollyanna".

Era la storia di una bambina sfortunatissima, a cui prima era morta la mamma, poi il papà, e si trovava a dover vivere con una zia arcigna e anaffettiva; ovviamente io mi identificavo in lei, in fondo mi sentivo anch'io un po' orfana, curatissima nel cibo e nel vestire, ma completamente lasciata a me stessa nella parte emotiva e affettiva.

Ma Pollyanna portava con sè un dono: il padre, pastore protestante, le aveva insegnato il gioco del "Tanto meglio così", la sfida a cercare sempre il lato positivo delle cose; e più l'esperienza era dura, più la sfida si faceva difficile, più aveva valore la risposta ed era emozionante trovarla; esempio "Ti sei rotto una gamba? Meno male che non te le sei rotte tutte e due!" - "Si, certo, e meno male che non sono un millepiedi e non me ne sono rotte una dozzina!".

Il padre di Pollyanna aveva trovato nella Bibbia ben 800 "versetti allegri", quelli in cui Dio dice al suo popolo di rallegrarsi per qualcosa; "e - dice Pollyanna - se per ben 800 volte Dio ci dice di essere contenti per qualcosa, non abbiamo forse noi il sacrosanto dovere di essere gioiosi?".

Io questa sfida l'ho presa proprio sul serio, ho giocato il gioco del "Tanto meglio così" fin dalla più tenera infanzia, e ho introiettato profondamente l'abitudine a vedere l'aspetto positivo delle cose, a capire che che c'è sempre un'altra faccia della medaglia, e che il più delle volte quello che sul momento appare come una disgrazia (esempio il mio matrimonio fallito prima ancora di iniziare, all'età di 21 anni) col senno di poi risulta una grande fortuna (non sarei quella che sono adesso, e di cui sono estremamente soddisfatta, non avrei fatto il cammino che quella "disgrazia" mi ha portato a percorrere).

Partito come un gioco, come un'àncora di salvataggio, il gioco è diventato per me consapevolezza, la capacità di illuminare qualsiasi lato oscuro.

E qui mi viene in mente un raccontino che ho sentito tanti anni fa, forse Zen, ma non ricordo:

Un giorno qualcuno disse a un raggio di luce che nel mondo esisteva una zona talmente buia che nessuno poteva entrarci; il raggio, incuriosito, comincia ad andare qua e là per il mondo alla ricerca della zona buia. Ovviamente non la trova, perchè, ovunque andasse, illuminava qualsiasi zona buia che potesse incontrare, ed, essendo luce, non riusciva nemmeno a percepire il buio.

Anche questo è stato un grande insegnamento:

se diveniamo luce, il buio per noi non esisterà più, anzi, potremo illuminare le motivazioni che portavano a quel buio, e faremo diventare queste osservazioni uno strumento di ampliamento di consapevolezza, e perciò di potere sulla nostra vita!